Non è solo una questione linguistica, le parole che usiamo riflettono la nostra visione del mondo.

Non chiamarli lavoretti

Dietro il linguaggio c’è molto di più!

Perché non diciamo “lavoretti”?

Nel nostro nido d’infanzia abbiamo da sempre scelto consapevolmente di non chiamare “lavoretti” ciò che i bambini/e producono e vorrei raccontarvi il perché. Non si tratta solo di una mera “questione linguistica”, il linguaggio che usiamo riflette la nostra visione del mondo, crea rappresentazioni e contribuisce a costruire la cultura educativa che viviamo ogni giorno insieme.

Il valore del processo

Lavoretto suggerisce qualcosa di piccolo, semplificato, sminuito, spesso ripetitivo e con uno scopo estetico (ma quando mai!) o decorativo soprattutto per il tuo frigorifero. Rimanda all’idea adulta di lavoro, spesso legata ad un vissuto di fatica, obbligo e valutazione.
Di solito si tratta oggetti brutti (è così!) da attaccare all’entrata, da portare a casa o da regalare, realizzati in occasione delle festività, spesso con l’aiuto – o meglio, con l’intervento – dell’adulto, che modella, corregge, rifinisce l’operato dei bambini/e. Il bambino/a viene così guidato verso la produzione di un prodotto finito, che deve aderire a un’idea prestabilita dall’adulto. “Faremo un disegno, un’impronta della mano per regolarla al nonno per la sua festa.”

“Lavoretto”: una parola con un grande mondo dietro

Ma i bambini e le bambine, soprattutto nella fascia 0-3 anni, non sono esecutori, lavoratori obbligati a produrre regali che si adeguino allo standard. Sono individui in formazione, ricercatori instancabili che esplorano il mondo attraverso il corpo, i sensi, la sperimentazione libera. Quando dipingono, modellano, incollano, toccano, sporcano, non lavorano per realizzare qualcosa da esporre: stanno vivendo un processo e imparando come funziona la realtà, stanno costruendo se stessi e lasciando tracce di sé attraverso gli scarabocchi o le impronte che lasciano sul foglio o sulla creta, tracce prolungate della mano che si muove, della loro intenzionalità.

Il processo è apprendimento

Nella prospettiva del nostro nido, ciò che conta non è il risultato, l’estetica dell’elaborato, ma l’esperienza vissuta dal bambino/a nel farlo. Quando lasciamo che i bambini/e scelgano i colori, mescolino i materiali, cambino idea mille volte, strappino fogli e ne chiedano altri… ci stiamo mettendo in ascolto del loro mondo interiore attraverso l’osservazione, senza giudizio e senza imposizione perché il processo generativo messo in atto è parte fondamentale del loro apprendimento.

Seguire il loro processo creativo significa:

accogliere la loro unicità, senza imporre un modello da imitare

valorizzare l’intenzionalità più che la bellezza

dare dignità alle loro scelte, anche quando sembrano disordinate, incomplete o “non riuscite” agli occhi adulti;

rinunciare all’idea del “bel lavoretto da mostrare”, per custodire invece il significato profondo di quell’esperienza.

In questa accezione la creatività non è un mezzo per ottenere qualcosa di esteticamente valido, ma uno strumento di esplorazione, comunicazione e costruzione di senso. Creatività è generare qualcosa di unico, ognuno a proprio modo, con i propri tempi, scoprendo e seguendo le proprie inclinazioni.

Il ruolo dell’adulto: la presenza e l’ascolto

Il nostro compito non è “correggere” il bambino/a affinché ciò che stanno facendo assomigli a un’idea adulta di bellezza, ma stare accanto a lui con rispetto e fiducia, creando contesti ricchi e stimolanti, offrendo materiali interessanti, osservando con attenzione ciò che accade.

Intervenire per “sistemare” o abbellire ciò che il bambino ha fatto rischia di mandare un messaggio implicito: “così com’è non va bene”. E questo, nel tempo, può minare la fiducia in sé, la libertà espressiva, il piacere del fare. Siamo abituati a ricevere valutazioni e correzioni e riproponiamo ai bambini/e lo stesso atteggiamento.

Un invito: custodisci l’unicità

Quando portate a casa un foglio pieno di scarabocchi, una forma fatta con la pasta di sale o un collage che sembra “senza senso”, fermatevi un attimo. Non chiedetevi “Cosa rappresenta?”, ma provate a domandare “lo hai fatto tu, da solo o con un amico?” oppure “Vuoi raccontarmi com’è nato?”.

Così facendo, aiutate il vostro bambino a dare significato alla sua esperienza e lo sostenete nel diventare un adulto capace di esprimere se stesso, senza paura di essere giudicato.

In conclusione, scegliere di non chiamare “lavoretti” ciò di cui i bambini ci omaggiano non è un vezzo linguistico, ma un atto di consapevolezza e rispetto profondo. È una dichiarazione di fiducia nelle loro capacità, nella loro creatività e nella loro unicità.

È un impegno che ci prendiamo ogni giorno: quello di guardare al bambino/a non come a un contenitore da riempire di abilità e conoscenze, ma come a un essere competente, curioso e ricco di potenzialità da accompagnare con cura, attenzione e amore nel suo procedere.

Per aiutare educatrici e genitori a “boicottare” il termine lavoretti e adottare un linguaggio più rispettoso dei processi creativi dei bambini, possiamo agire su due piani complementari…

Se sei un’educatrice e desideri approfondire questo tema con spunti di riflessione utili per cambiare modalità di lavoro e suggerimenti concreti richiedi l’intero articolo.

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